Dicembre 2022 – The European House- Ambrosetti durante il “Venice Sustainable Fashion Forum”, l’iniziativa progettata insieme a Sistema Moda Italia, Camera Nazionale della Moda Italiana e Confindustria Venezia-Rovigo con l’obiettivo di indicare un percorso di cambiamento concordato e avviare una roadmap di trasformazione per il settore moda italiano, ha presentato “Just Fashion Transition”.
L’indagine, realizzata con il contributo di alcuni grandi marchi, istituzioni locali e associazioni industriali, ha valutato lo stato delle Supply Chain italiane che, oltre a essere un importante mezzo per raccogliere dati aggiornati sullo stato di transizione sostenibile delle aziende italiane, serve da stimolo alle imprese per riflettere sul loro livello di maturità nel processo verso la sostenibilità.
La “giusta transizione”
La sfida di una transizione equa è senza precedenti e l’industria della moda si qualifica come protagonista per affrontare le principali sfide ad essa legate
- È una delle industrie più globalizzate ed eterogenee al mondo, con catene del valore globali lunghe e complesse che giocano un ruolo chiave per quanto riguarda il cambiamento climatico, l’uso delle materie prime e della terra, lo sfruttamento dell’acqua, l’uso di sostanze chimiche e lo sfruttamento del lavoro
- Il comparto moda è attualmente responsabile per il 2-5% delle emissioni globali di gas a effetto serra
- Se l’industria continua ad operare business as usual, le proiezioni prevedono un aumento delle emissioni fino a 1.588 Gt entro il 2030, un trend non conciliabile con l’obiettivo di ridurle del 45% per raggiungere gli obiettivi di Parigi.
- L’industria della moda e la filiera della produzione tessile sono responsabili di circa il 20% dell’inquinamento delle acque
Il fashion può (e deve) essere un settore leader nella lotta ai cambiamenti climatici
Nuovi obblighi e pressioni normative accendono i riflettori sull’industria della moda
L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali ha fissato una chiara scadenza per le azioni climatiche in tutto il mondo e ha creato di conseguenza uno slancio nelle agende politiche a livello globale.
L’Unione Europea si sta muovendo più velocemente di altri paesi: ambisce di fatto a diventare il primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, ed affermarsi come pioniere della transizione sostenibile.
L’industria della moda non fa eccezione al trend normativo in crescita a livello mondiale, con oltre 130 normative internazionali e nazionali in vigore dal 2021, mappate dalla Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) in uno sforzo continuo per identificare tutte le politiche e le legislazioni riguardanti la trasparenza e la tracciabilità per catene del valore sostenibili nel settore dell’abbigliamento e delle calzature.
A 3 anni dalla presentazione del Green Deal, il settore tessile torna sotto i riflettori europei grazie alla recente proposta di Strategia UE per i Tessili Sostenibili e Circolari: 25 linee di azione da implementare entro il 2027 e assicurarsi che entro il 2030 i prodotti venduti entro l’Unione europea siano duraturi, riciclabili, non pericolosi e a basso impatto sulla sostenibilità.
La finanza sostenibile a supporto della transizione
“La finanza sta diventando una leva strategica per spingere il sistema delle imprese verso la transizione sostenibile in tutta Europa; è infatti prevista una rendicontazione obbligatoria delle perfomance non finanziare per almeno mille aziende della moda europee che dovranno pubblicare anche le percentuali di ricavi allineati alla Tassonomia sulla finanza sostenibile” – Carlo Cici, Head of Sustainability practice The European House-Ambrosetti e coordinatore dello studio.
Tra certificazioni e rating
Ad oggi sul mercato esistono oltre 400 certificati di sostenibilità applicabili al settore del fashion. L’82% riguardano solo i prodotti (le caratteriste e i materiali) mentre appena il 18% i processi operativi, che comporta di fatto un onere significativo per gli attori a monte della filiera, concentrandosi sui prodotti, e questo non è sicuramente un aspetto secondario.
Inoltre, dall’indagine Ambrosetti emerge un altro aspetto importante per la transizione, ovvero la necessità di misurare la sostenibilità delle aziende con un unico strumento: nel 2018 esistevano oltre 600 rating e classifiche ESG a livello globale e da allora sono in continua crescita e questo crea non poca confusione nei mercati finanziari su quali siano le aziende più virtuose, poiché gli investitori tendono a non fidarsi delle valutazioni ESG.
Consumatori al centro? Tra sostenibilità e convenienza
A differenza del caso chiaro degli attori normativi, se i consumatori rappresentino una vera fonte di pressione per la moda sostenibile rimane un argomento controverso. Da uno screening delle indagini degli ultimi 5 anni, non è stato possibile rilevare un aumento consistente del cambiamento comportamentale dei consumatori a favore dei prodotti sostenibili.
Ad esempio, i risultati alla domanda “se i consumatori considerano la sostenibilità un fattore importante nelle loro decisioni di acquisto” di due indagini condotte nello stesso periodo variano dal 24% al 61%.
Anche i consumatori attenti alla sostenibilità scambiano regolarmente la sostenibilità con la convenienza: il prezzo conveniente è il fattore che supera di gran lunga l’importanza di qualsiasi preoccupazione legata alla sostenibilità.
Alla base della diffidenza, c’è sicuramente un problema reale di mancanza di strumenti rivolti ai consumatori.
ESG – non solo fattori “environmental” per una transizione concreta e per tutti
Se metà degli strumenti di certificazione integra sia criteri ambientali che sociali, le certificazioni dedicate alle questioni sociali sono appena il 6%.
Delle 100 più grandi aziende europee del settore della moda che ricadranno nel campo della Corporate Sustainability Reporting, 64 hanno già un approccio strutturato alla gestione della sostenibilità e sono le più grandi.
I modelli di business dunque stanno cambiando, ma per favorire la transizione serve una tabella di marcia precisa verso il 2030, e non si può senza una reale considerazione degli sociali legati a questo settore.
Per consultare l’intero Report QUA